Colori d'autunno

Colori d'autunno
“ Storie che vanno via veloci disperdendosi al vento come fili di fumo. Il fumo è testimone di un fuoco. La legna finisce, il fuoco si spegne. Rimane l’odore del fumo, che è ricordo. Del fuoco resta la cenere, che è memoria. Rovistando tra la cenere si pensa al fuoco che fu. Ricordare fa bene, è un buon allenamento per resistere e tirare avanti.” (Mauro Corona)

venerdì 4 gennaio 2019

COLLI EUGANEI: I ruderi dell'antico monastero sul Monte Orbieso e il Padiglione di Diana a Valsanzibio


Antico monastero sul Monte Orbieso

Fin dai tempi più antichi, colli e monti vennero considerati come luoghi idonei per attuare “il deserto dello spirito” e l’incontro con l’Assoluto. Anche i Colli Euganei non si sottrassero a questo fascino. Il silenzio circostante, la verde stesura di alberi e di piante, il paesaggio della pianura sottostante, le ore incantevoli di un cielo sereno, il giorno e la notte: tutto deve aver concorso per l’insediamento eremitico e monastico, che ha davvero proporzioni impensate. L’antica mulattiera storicamente chiamata Strada Fonda, segue il naturale crinale del Monte Orbieso per collegare due antichi complessi monastici.
Il primo apparteneva al Priorato di S.Eusebio, il secondo, collocato al vertice opposto dell’antica mulattiera, era invece il Monastero di S.Maria Annunziata, collegato ad occidente da un breve tragitto, al pianoro di Steogarda dove si snodava una strada alta che collegava Faedo a Galzignano. Il Monastero di S.Maria Annunziata, è sorto nel 1233 per volere dei frati benedettini di Praglia poiché l’allora vescovo di Padova, Corrado, vi collocava come priore un certo Bono. Il monaco proveniva dalla comunità benedettina padovana di S. Benedetto. In seguito alla crisi interna dell’ordine benedettino (1318), il complesso passò, come il monastero di San Giovanni sul Venda (Monastero degli Olivetani), ai monaci Camaldolesi. Nel 1458 passò al monastero di Murano e intorno al 1770 venne soppresso per volere della Repubblica di Venezia e trasformato in fattoria. La piccola comunità era retta da un frate, Luca de Alemania, che dichiarava possedimenti in prati, boschi e alcuni vigneti, anche in Arquà Petrarca. Interessante poi si fa nel 1503 un estimo di Bartolomeo da Treviso, dal quale si apprende che la comunità era ancora unita ai camaldolesi. Oggi il monastero è in rovina, ma le strutture rimanenti testimoniano ancora l’antica nobiltà del sito; l’intero complesso era circondato da un doppio muro di cinta per proteggere la clausura e aveva al suo interno la cisterna per l’acqua piovana, un portico con arco per accogliere gli ospiti che salivano dalla valle e, dalla parte opposta, un secondo ingresso che dava sui campi posti nei pianori ad occidente del monastero; annessa al portico l’antica chiesetta. (fonte: I Colli Euganei natura e civiltà)





_______________________________________________________________


IL PADIGLIONE DI DIANA


Il ‘Padiglione di Diana’ o ‘Portale di Diana’ era l’entrata principale via acqua alla tenuta dei Barbarigo nel XVII e XVIII secolo e fu una delle prime opere costruite del progetto del Bernini (inizio lavori circa 1662). Probabilmente, questa superba e imponente porta d’ingresso rappresenta uno dei luoghi più importanti di tutto il complesso monumentale, infatti, non significava solo l’accesso alla dimora dei Barbarigo sottolineando la grandezza del posto in cui si stava entrando, ma era l’inizio del percorso di salvificazione voluto dal Santo Gregorio Barbarigo. Appena davanti al Portale, al suo esterno, su due robusti pilastri poggiano gli scudi dei Barbarighi, sorretti da due statue rappresentanti angeli in tranquillo atteggiamento di fanciulli dalla corta tunica. Il Padiglione di Diana, oltre ad essere una maestosa costruzione, è decorato con mascheroni, basso rilievi e 13 statue in pietra d’Istria tutte scolpite dallo scultore Enrico Merengo. 


Il Padiglione di Diana

Tra queste sculture, forse, le più importanti sono le sei sulla facciata d’ingresso del portale e le quattro sul parapetto interno.                                                                                                                      
Le sei sculture della facciata dall’alto verso il basso sono:
la statua di Diana: questa scultura raffigura Diana dea della caccia, dei prodigi e delle mutazioni, raffigurata in atteggiamento bellicoso in ammonimento a non violare i confini del parco; questa statua è patrona del giardino ed è volutamente posizionata sulla parte più alta del portale perché, in ultima analisi impersonifica nostro Signore che sta al disopra di tutto;
il Mascherone Barbuto: questa meravigliosa scultura sulla chiave di volta dell’ingresso principale rappresenta la testa di un uomo virile, forte e burbero, nell’atto di emettere un grido e che può rappresentare Sileno, maestro di sapienza ed indovino, che accoglie i visitatori di Valsanzibio, o, più probabilmente, rappresenta la generazione dei Barbarighi dalla cui folte barba la casata prende il nome; non a caso questa figura è stata messe al disotto della statua di Diana, ma sopra tutte le altre figure scultoree per sottolineare che i Barbarighi erano al disotto solo a Dio!

Le statue di Atteone e di Endimione: queste sculture, rispettivamente alla sinistra e alla destra della porta d’ingresso, rappresentano le due figure mortali che nella mitologia impersonificano coloro che non si sanno accontentare e, pretendendo troppo dalla vita, alla fine si ritrovano con un pugno di mosche; queste figure allegoricamente rappresentano la nobiltà veneziana che, messe volutamente sotto il mascherone barbuto, sotto i Barbarighi, vengono redarguite dagli stessi di non essersi accontentati dei primi successi contro il gigante dell’Impero Ottomano, ma di aver osato troppo contro i Turchi portando, inevitabilmente, alla rovina e decadenza la Serenissima Repubblica. Le statue dei Popolani: queste sculture, una che regge un barile di vino e la seconda un otre d’acqua, rappresentano due figure di popolani vestiti con semplicità e povertà e dall’aspetto disadorno e quasi deforme. Le figure popolane sono volutamente poste alla base del portale sotto le statue di Atteone ed Endimione, sotto quello che allegoricamente rappresenta la nobiltà, infatti, queste figure rappresentano la gente del popolo, base del potere del patriziato.
Le quattro statue sul parapetto interno da sinistra a destra rappresentano:
la statua di Mercurio: il messaggero degli Dei sulla terra a significare che a Valsanzibio è possibile avere un contatto diretto con Dio;
la statua di Ercole: il semi Dio che fece le 12 fatiche e simboleggia le fatiche che bisogna affrontare per guadagnarsi la salvificazione;
la statua di Giove: il ‘Re’ degli Dei che regola e governa gli agenti atmosferici, proteggendo il giardino e dandogli l’alternanza tra pioggia e sole, basilare per il suo benessere;
la statua di Apollo: il sole, che rappresenta la casata dei Barbarigo. Infatti, come il Sole, essendo solo nel cielo, è l’astro più luminoso e splendente, così i Barbarigo, avendo fatto la loro dimora lontana dalla Riviera del Brenta (sede della maggior parte delle dimore delle altre famiglie nobili veneziane), a Valsanzibio non hanno rivali e sono la famiglia più in importante e più in vista. (fonte: Giardino Storico di Valsanzibio)



Photo by: ©Massimo Guercini


1 commento:

  1. Stavo cercando la storia del rudere del Monastero del Monte Orbieso, peccato solo per lo stato di abbandono a cui è lasciato. Molto interessante l'articolo e bellissime le foto del sito, complimenti.

    RispondiElimina