Colori d'autunno

Colori d'autunno
“ Storie che vanno via veloci disperdendosi al vento come fili di fumo. Il fumo è testimone di un fuoco. La legna finisce, il fuoco si spegne. Rimane l’odore del fumo, che è ricordo. Del fuoco resta la cenere, che è memoria. Rovistando tra la cenere si pensa al fuoco che fu. Ricordare fa bene, è un buon allenamento per resistere e tirare avanti.” (Mauro Corona)

mercoledì 18 maggio 2016

UN ATTESO INCONTRO


            La sala gremita al Teatro Duomo di Rovigo*                                                                                                                                         

Sabato 7 maggio 2016. Una data che difficilmente potrò scordare. La ricorderò soprattutto perché, finalmente, stavo per realizzare un sogno. Già, un altro, dopo quello dell’anno scorso, quando pubblicai il mio primo libro dal titolo: “I Miei Sentieri”. Era il 9 dicembre 2015. Sembrava un desiderio inavvicinabile, impossibile da realizzare e invece si materializzò dopo un cammino durato tre anni. Me ne resi conto quando toccai il libro con mano, sfiorando timidamente, con i polpastrelli delle dita, le pagine patinate che    sapevano ancora di stampa. 


                  Ultimi istanti d'attesa*                      

Mi trovavo, dunque, nel giro di qualche mese, a realizzare un nuovo desiderio. Incontrare Mauro Corona, è sempre stato il classico “sogno nel cassetto” che riponevo nell’antro dei miei possibili desideri. Uno dei tanti che mettevo lì, da parte, in una “hit parade” surreale, ipotetica, compilata nel corso degli anni, con la speranza che, alla fine, qualcosa si avverasse. Confesso che già una volta tentai di fare la sua conoscenza: settembre 2015, il ventotto, per la precisione. Ovviamente, incontrarlo fu cosa impossibile visto i suoi continui spostamenti in giro per l’Italia. Di là di questo, mi recai a Erto soprattutto per visitare i luoghi della memoria, “fantasmi di pietra”, come li chiama Corona nel suo libro, monumenti del tempo, testimoni impotenti di un’immane tragedia. 

Bene, quel sabato pomeriggio avevo l’opportunità di vederlo in carne e ossa e ancora non ci credevo. La giornata si presentava bella, soleggiata, metteva allegria. Partii da Padova presto, alla volta di Rovigo, per partecipare all’evento “ROVIGORACCONTA”, una manifestazione di libri, teatro e musica. Sapevo benissimo che, da Padova a Rovigo, in autostrada, ci si mette mezz’ora ad arrivare, ma non m’importava, volevo godermi ogni istante di quella giornata. E godermela con calma. Nel pomeriggio, presso il Cinema Teatro Duomo, si sarebbe tenuto un incontro con Mauro Corona proprio sulla conoscenza e la capacità di vivere la montagna. Arrivai, come previsto, con larghissimo anticipo trovando subito, in un bel giardino pieno d’ombra, il posto ideale per trascorrere il tempo che mi divideva dall’evento. Mi sedetti su una comoda panchina di ferro battuto e legno con un grande albero che la sovrastava e, soprattutto, faceva ombra. Ogni tanto, la folta chioma si scomponeva ai leggeri soffi di vento, donando sollievo all'attesa. Tirai fuori dallo zaino un libro (ne avevo un altro), portato per l’occasione, pronto per essere autografato dall’autore. Iniziai a scorrere le pagine, fantasticando su come si sarebbe svolto l’incontro e cosa avrei potuto provare nell’ascoltare un personaggio così bizzarro e fuori dalle righe, raccontare, da poeta qual è, luoghi e modi di vivere delle sue amate montagne. Le ore passavano via veloci come l’attimo di un respiro. Due del pomeriggio. Dopo una breve passeggiata per le vie del centro, mi riaccomodai su una delle panchine presenti nel giardino per consumare uno spuntino. Rovigo è una città confortevole, si può percorrerla tranquillamente a piedi, senza l’uso di un mezzo di trasporto. C’è la via principale che taglia in due la città e poi tutte viuzze che fungono da arterie secondarie di comunicazione. Alla fine, tutte si ricollegano a essa: impossibile perdersi. 

Mauro Corona*                                                                                                                                    

Intanto, più in là, su una panchina che guardava, appunto, la via principale, (Corso del Popolo) stavano sedute tre persone, piuttosto alticce, e altrettante, in piedi, che assecondavano i discorsi strampalati che questi erano portati a fare sotto l’effetto soporifero dell’alcool. Il più “avanti” dei tre, era un tipo dai capelli lunghi, biondi e trasandati. Vestiva allo stesso modo, cioè a dire: una larga maglietta bianca imbrattata di schizzi, abbondante pantalone verde militare a vita bassa e un paio di sandali color tabacco che mostravano, oltre l’usura del tempo, vetusti calzini dalla tinta improponibile. Aveva lo sguardo di uno che ormai è ai limiti della sbronza. In mano, teneva un cartone di Tavernello bianco da litro che, in breve tempo, si scolò come fosse acqua fresca. Barcollava, incespicando ogni tanto sui suoi passi. Ne faceva quattro avanti e due indietro tentando di perseguire una linea, la più dritta possibile. Gli altri, intanto, se la raccontavano e se la ridevano. Stavo assorto a gustarmi l’etilica scena, quando mi si avvicina un tipo basso, vestito “casual”, occhiali da sole, sigaretta tenuta tra il pollice e l’indice della mano destra e la Settimana Enigmistica, inclusa penna, in quella sinistra. Focalizzo il momento e la persona che si siede proprio al mio fianco. Sposto cortesemente lo zaino. Lui ringrazia. Dopo una breve pausa, servita a capire con chi avevo a che fare, iniziammo a dialogare. Scopro che è toscano, originario di Pisa, città che lui ama e che porta ancora nel cuore. Vive a Rovigo da diversi anni avendo sposato una donna del luogo. Di figli, manco l’ombra. Né lui né sua moglie, desideravano averne poiché, all’epoca, sognavano il divertimento e lo spasso. Ora, all’età di sessantacinque anni lui e sessanta lei, si trovavano soli e senza aiuti nel caso ne avessero avuto bisogno. Mentre raccontava, aspirava la sigaretta con profonde boccate. Dalla sua voce roca e pastosa, potevo intuire l’indole del gran fumatore. Evidentemente, quello che mi stava raccontando, lo faceva sentire in colpa e poco sereno con se stesso. Quel giorno, era toccato a me, comprendere quel suo sfogo che sapeva tanto di pentimento, rassegnazione, di occasione persa. Seguì un attimo di silenzio, poi, come se fino a quel momento tra di noi non fosse volata una parola, l’omino sfilò la penna dalle pagine del settimanale enigmistico e cominciò a scrivere, riempiendo le caselle di un nuovo cruciverba. Pensai che, anche per me, la cosa dovesse finire lì. Guardai l’ora. Due e quaranta. Presi lo zaino, salutai il toscano (non il sigaro, l’omino) e mi recai verso l’ingresso del teatro dove, a meno di due ore dall’inizio dell’incontro, non c’era ancora anima viva. La prima arrivò verso le tre e un quarto. Un signore di statura bassa, vestito elegante, teneva stretta in mano una piccola videocamera portata apposta per l’occasione. Facemmo subito conoscenza. Questo, è il giorno degli incontri – pensai. Mi raccontò che era partito da Loreo, proprio per star vicino al suo scrittore preferito. Una simpatia nata leggendo i suoi libri e coltivata, grazie alla passione che aveva per il legno e per la montagna che, guarda caso, erano gli stessi di Mauro Corona. Gli piaceva costruire piccoli presepi e plastici di paesini locali d’epoca che riproduceva ispirandosi a vecchie cartoline. Una volta – disse – ne costruì uno, tutto in legno, che riproduceva fedelmente angoli caratteristici del suo paese. Lo portò a Erto e lo donò a Mauro Corona. Mentre descriveva l’episodio, i suoi occhi brillavano d’orgoglio. L’ora dell’incontro si avvicinava. L’inizio era alle quattro. Dopo una decina di minuti trascorsi a parlare del più e del meno con il signore di Loreo, iniziò pian piano ad arrivare gente che, sempre più numerosa, si metteva in fila riempiendo la stretta via che conduceva al teatro. In quel caotico vociare, crebbe in me la sensazione, sempre più chiara, che stavo per vivere qualcosa di importante, unico. Guardai all’interno dello zaino un’ultima volta, certo che tutto fosse in ordine. Avevo con me alcune copie del mio libro, ancora incelofanate. Scartai il pacchetto e ne tirai fuori una. Non si sa mai – pensai tra me – Fosse la volta buona che riesco pure a consegnarne una al mitico Corona! Le porte del teatro si aprirono. Entrai, con fissato nella mente l’ennesimo desiderio, l’agognato sogno che ogni scrittore alle prime armi, vorrebbe realizzare. Ero uno dei primi e mi fu facile occupare un posto favorevole: prima fila a destra, guardando il palco, poltroncina n°1. Posizione ideale. Il teatro si riempì velocemente e rapido salì anche il brusio del pubblico. 
Un momento dell'incontro
Tutto era pronto. Le luci del teatro si spensero, si accesero quelle sul palco. Si creò subito un’atmosfera calda, cordiale. I riflettori illuminavano l’essenzialità dell’evento: due sedie, due microfoni, un tavolino basso con sopra un paio di bottigliette d’acqua, due bicchieri di vetro e una bottiglia di vino rosso (indovinate per chi!). Una breve introduzione da parte del presentatore e poi, via! Ecco l’entrata in scena di Mauro Corona, con il pubblico che applaude convinto. Prime parole, primi gesti che fanno capire l’indole della persona, primi commenti tra noi spettatori.


Quando Mauro Corona parla, sembra di leggere un suo libro. La sensazione è quella. Ci si lascia trasportare dai suoi discorsi sempre pieni di atmosfera, di poesia. Uno scorrere di avvenimenti, episodi, racconti di amici presenti e scomparsi, come Icio, l’inseparabile compagno di viaggio; una vita trascorsa tra montagne, testimoni della sua nascita, che l’hanno visto crescere in una famiglia ostile e disperata. Discorsi mai banali ma misurati ed essenziali. Il pubblico ride, si diverte, applaude alle sue battute genuine, schiette. Continua a raccontare, snocciola episodi, particolari inerenti alla sua vita di eterno ragazzo infelice. Un’esistenza che gli farà conoscere la dura realtà dell’alcolismo, ma anche il piacere della lettura, attraverso autori che segneranno in maniera profonda, il suo percorso artistico e letterario. Questo è Mauro Corona. L’incontro giunge al termine. I saluti finali, l’ultimo sorso di vino bevuto velocemente dal bicchiere, la raccolta distratta di fogli e del quotidiano che aveva appoggiato sul tavolino e, infine, la lenta discesa tra il pubblico. 



Tutti lo aspettavano trepidanti con in mano un suo libro (anche più di uno). La disponibilità di Mauro Corona fu esemplare. Uscì dalla sala teatro, seguito da uno sciame di gente. Prese posto sul bancone posto all’entrata ed iniziò a autografare libri. La gente gli si stringeva attorno dimostrando tutto il suo affetto e, a turno, si avvicinava per scambiare due parole e per avere una dedica. Venne il mio turno. Ero, ovviamente, emozionato tanto che riuscii a fatica mantenere un tono di voce che desse l’apparenza della normalità. Consegnai a Corona i due libri da autografare, tenendo il mio nascosto in modo che non lo notasse. Poi, prendendo coraggio, gli consegnai la copia del mio libro. Iniziò a sfogliarlo velocemente, chiedendomi, a sua volta, una dedica. Scrissi: “Al vecchio Mauro Corona con simpatia e gratitudine. Massimo Guercini” Gli ritornai il libro. Lui ringraziò, continuando a consegnare battute e autografi. Era finita? No. Volevo di più. Sentivo che era il giorno giusto per “osare”. Aspettai che la massa si dileguasse e con una sfacciataggine che non mi appartiene, chiesi al buon Mauro la disponibilità di farsi immortalare con il mio libro. Lo prese e in una posa da provetto imbonitore, si fece fotografare. Lo ringraziai ancora una volta per l’occasione che mi aveva concesso e, soddisfatto, uscii. Per la via del ritorno, pensai a quei momenti palpitanti vissuti così intensamente. Gli elaborai in poco tempo, realizzando, alla fine, che avevo fatto qualcosa di grande. Un qualcosa che prima, sembrava irrealizzabile. Mi chiedevo ripetutamente se tutto questo fosse successo veramente. Per capirlo, mi fermai a guardare il teatro, ormai deserto; Mauro Corona, impegnato a terminare le ultime formalità; ascoltai l’animo della gente che vibrava d’emozioni. Capii, allora, che tutto questo era pura realtà. Avevo vissuto “un sogno”, il mio sogno. E lo stavo ancora cavalcando.

E' il momento della dedica sul libro




L'incontro tanto atteso ...





...e la grande soddisfazione!



(*) Immagini tratte dalla pagina Facebook di Rovigoracconta

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