Colori d'autunno

Colori d'autunno
“ Storie che vanno via veloci disperdendosi al vento come fili di fumo. Il fumo è testimone di un fuoco. La legna finisce, il fuoco si spegne. Rimane l’odore del fumo, che è ricordo. Del fuoco resta la cenere, che è memoria. Rovistando tra la cenere si pensa al fuoco che fu. Ricordare fa bene, è un buon allenamento per resistere e tirare avanti.” (Mauro Corona)

mercoledì 30 aprile 2014

LA NATURA, QUESTA (S)CONOSCIUTA

Durante il periodo adolescenziale, iniziarono a crescere in me sentimenti che si contrapponevano tra loro portandomi ad essere, nei confronti degli altri, irascibile e poco paziente. Non riuscivo a trovare un mio equilibrio, una mia identità. Sentivo il bisogno di evadere, di estraniarmi dalla realtà in cui vivevo, di spegnere quel fuoco che mi ardeva dentro. Fu allora che conobbi, attraverso libri, manuali e dispense, le meravigliose ricchezze che la natura poteva offrirmi. Cominciai a consultare libri di fotografia, testi naturalistici e manuali di disegno nei quali veniva illustrata, ad esempio, la composizione di un paesaggio o di un albero, la struttura di una foglia o di un frutto, le sinuose forme che potevano avere le ali di un uccello o di una farfalla, scoprii anche dettagli, sfumature, particolari interessanti che, fino a quel momento, mi erano sconosciuti. Si accese così in me il desiderio di conoscere veramente tutto ciò che mi circondava, capii che la natura mi stava venendo incontro, mi porgeva la sua immensa mano per portarmi con sé, dentro di sé. Trovai nuovi stimoli, nuove idee. Di colpo tutto mi apparve chiaro, trasparente. 

La mia bici
Iniziai subito a costruirmi una scatola di compensato, grande quanto bastava per contenere qualche matita, dei colori, delle chine, due o tre pennini e dei pastelli a cera. Poi presi un cartone rigido, lo piegai a metà e ne feci una cartella che mi servisse sia per contenere i fogli (ma andava bene anche carta da pacchi o addirittura i sacchetti del pane, su cui si disegnava benissimo, fatti con una carta color tabacco, liscia e senza scritte), che per farmi da supporto quando disegnavo. Non mi mancava nulla. Anzi sì, qualcosa ancora mi mancava: un mezzo di trasporto! Nessun problema. Possedevo all’epoca (fine anni settanta) una bicicletta Torpado, bella, grande, di color azzurro, a quattro cambi. Me la regalò mia nonna in un lontano compleanno, quando ancora non riuscivo a toccare terra con la punta dei piedi. “Te l’ho presa in crescere!”, mi disse “Così ti andrà bene anche per i prossimi anni”. Non si sbagliava mia nonna, la usai fino all’età di trentacinque anni prima che qualcuno me la portasse via e con lei anche una parte di vita. Era attrezzata, sul retro, di un proprio portapacchi che mi venne comodo per trasportare la cartella e la scatola portacolori. Iniziai così, il mio primo incontro con la natura. In qualunque stagione e con qualsiasi tempo, mi offriva di sé il suo aspetto migliore, mostrandosi bella, attraente, indossando ogni volta l’abito adatto: impalpabile e assorta in autunno, uggiosa e solitaria in inverno, rigogliosa e profumata in primavera, solare e avvolgente in estate. 
Si dava ai miei occhi in tutto il suo splendore, donandomi continui spunti e riflessioni che prontamente trasferivo sul foglio. Un giorno d’inverno, avvolto da una malinconia che attanagliava e velava di grigio i miei pensieri, osservando uno scorcio di paesaggio brullo e desolato, trovai l’ispirazione per scrivere, di getto, alcuni versi dettatimi dal cuore che subito annotai sul foglio, dove stavo disegnando un maestoso albero di castagno, con i particolari della corteccia, dei rami e del frutto. Quel foglio lo conservo tuttora, gelosamente, perché appartiene a un periodo della mia vita che ricordo con nostalgia e tenerezza. Quei pochi versi li intitolai “Solitudine”. Era la giusta sensazione che interpretava alla perfezione, quello che provavo in quel momento. 

SOLITUDINE 


Nella solitudine 
che in rari momenti 
riesco a trovare, 
i miei pensieri, 
le mie domande 
si accavallano tra loro 
creando in me 
confusione, ansia, disperazione. 


Ansimano le mie risposte, 
brancolano nel buio 
e vagano flebili 
nel vuoto assurdo che c’è in me, 
alla ricerca di un proprio volto. 


                                                                                  Padova, 21 febbraio 1979 



... i miei pensieri, le mie domande si accavallano tra loro
Seguirono altri momenti in cui la natura divenne musa ispiratrice delle mie suggestioni, dei miei pensieri, delle mie lunghe pause fatte di silenzi e considerazioni. Nuovi fogli pieni di appunti, disegni, riflessioni, si aggiunsero ad altri in un vortice di bramose emozioni che accentuarono ancor più la mia sete di curiosità. Con l’andar del tempo, però, molte cose iniziarono a cambiare, anche il mio modo di affrontare la vita. Senza rendermene conto, mi ritrovai catapultato in un mondo fino allora sconosciuto al quale sentivo già di non appartenere. Rimpiansi allora gli attimi di evasione, la voglia di sognare che avevo trovato e vissuto rifugiandomi in quel mondo così accogliente e silenzioso. Di colpo tutto svanì, come castelli di sabbia inghiottiti dalla risacca. 
Venne un periodo in cui, ragazzo ventenne, fui costretto ad affrontare un futuro che si presentava incerto e pieno di incognite. Passai momenti difficili, confusi, in cui tutto mi sembrava inutile e scontato, mi sentivo svuotato, spaesato, avulso da ogni cosa: un appiattimento totale! Abbandonai l’interesse per tutto ciò che di buono ero riuscito a costruirmi fino ad allora, perdendo voglia ed entusiasmo; vivevo alla giornata, disinteressandomi di quello che sarebbe potuto accadere il giorno dopo. Ero in completa balìa di onde oscure e selvagge che mi sbattevano da una parte all’altra, senza che potessi rendermi conto in quale direzione mi avrebbero portato. Ogni giorno era uguale all’altro e pian piano mi resi conto che così non potevo andare avanti: dovevo assolutamente voltare pagina. La voltai in un’afosa giornata di fine giugno. Il caldo e l’umidità rendevano l’aria pesante e irrespirabile. Stavo riordinando alcune scartoffie tra i ripiani impolverati della libreria quando, a un certo punto, posai lo sguardo su un paio di libri di montagna che mio padre mi regalò qualche anno prima, conoscendo molto bene la sconfinata passione che mi legava alla natura e alle escursioni dolomitiche. Non so quante volte lessi e rilessi quei libri, so che ogni volta era un’emozione diversa, un tuffo liberatorio su immagini meravigliose che riempivano di straordinaria bellezza e poesia quelle pagine lucide e patinate: paesaggi unici, vette immacolate, tramonti da sogno, baite immerse nel verde vellutato di prati sconfinati, accoglienti rifugi alpini sperduti in un mare di pinnacoli, cenge e creste rocciose. Ne sfogliai uno e, nonostante l’usura, quelle pagine sapevano ancora di nuovo, un misto di carta e inchiostro che mi solleticò il naso. I riflessi del sole che entravano dalla finestra, riempivano di colore e di luce quelle facciate, ipnotizzando il mio sguardo in una sorta d’incantesimo. Riguardai con gli occhi della fantasia quei luoghi impervi, misteriosi e magici, iniziando così a viaggiare. Immaginai di volare su una mongolfiera sospinto da un vento placido, silenzioso e di ritrovarmi ad attraversare montagne, fiumi, pianure, vallate, fino ad arrivare ai profili gentili e sinuosi dei colli. Eccoli i colli, affascinanti come sempre nella loro gradualità di colori che assumono durante l’evolversi delle stagioni. Sentivo il profumo della terra appena dissodata, quello acre del sottobosco dopo una pioggia, respiravo le delicate essenze dei fiori nei giorni di primavera. Guardavo più in là l’immensa pianura, ed ecco apparirmi le malinconiche nebbie di fine autunno, il grigio fumo che esce dai camini e si spande nell’aria diffondendo profumi di legna bruciata, di tavole apparecchiate, di sapori schietti e genuini. Ascolto. Cos’era questa nenia?. Questa cadenza ritmata che sentivo nell’aria ?. Erano le dolci filastrocche che voci roche e tremanti raccontano davanti agli sguardi rapiti di bambini sognanti. La fronte mi grondava di sudore. Dagli occhi uscivano, cristalline, stille salate che lentamente m’ inumidirono il volto cadendo leggere sull’immagine di un crocefisso ligneo che, dall’alto di una cima, dominava una vallata d’incredibile suggestione. Erano lacrime di contentezza, di liberazione. Di colpo, scoprii che in un posto nascosto del mio cuore, esistevano ancora dei sentimenti veri, profondi, che mi avrebbero aiutato a rinascere facendomi riassaporare quelle emozioni, quegli entusiasmi, che da troppo tempo ormai stavano sopiti dentro me. In quei brevi istanti mi convinsi ancora di più che la natura, accortasi della mia indifferenza, voleva restituirmi di sé un’immagine forte e chiara della sua presenza, mostrandosi in tutta la sua grandiosità. Chiusi il libro e, come fosse un oggetto sacro, lo riposi al suo posto. Diedi un’ultima occhiata alla libreria per vedere se tutto era in ordine … Un momento: cos’erano quei fogli che sbucavano da lì dietro in modo così disordinato e confuso?. Incuriosito, spostai una serie di riviste e, con grande sorpresa, mi accorsi di avere tra le mani la raccolta di disegni, annotazioni e curiosità realizzati qualche anno prima, girovagando la natura, in compagnia della mia Torpado. Pensavo proprio di averli smarriti e, sinceramente, ne avevo perso anche il ricordo. Fogli d’album, sacchetti del pane, ritagli di carta da pacchi e cartoncini colorati, fogli di carta velina: un ammasso cartaceo da vagabondo della strada. Presi il blocco di fogli stropicciati e pieni di polvere, li pulii e li posai sul piano della scrivania iniziando a sfogliarli uno ad uno, con calma; annusai il loro odore, sembrava trapelassero ricordi ed emozioni da ogni fibra; l’inchiostro era sbiadito e i segni della matita si stavano uniformando: quello che c’era scritto e disegnato, ormai, aveva perso vita, vigore. Continuai a sfogliarli, riassaporando quei momenti vissuti in piena armonia con la mia “Grande Natura”; cercai di ricordare i luoghi, i profumi che aleggiavano nell’aria, i rumori del silenzio che avvolgevano e riempivano quelle atmosfere così cariche di magia. Momenti indimenticabili passati con spensieratezza ed entusiasmo, momenti di un percorso che restituì un significato diverso alla mia esistenza.

I colori dorati del tramonto

SCRIVERE CON LA LUCE: La fotografia come emozione 

Gli anni passarono veloci, uno dopo l’altro, scanditi dal ritmo delle stagioni e dalle piccole realtà di tutti i giorni. Incominciai a far uscire quello che avevo dentro di me, ascoltandomi di più, cercando di riflettere, di comprendere maggiormente cosa volesse dire vivere la vita, ma soprattutto cercai di capire gli altri. Tutto questo mi fece trovare, finalmente, un giusto equilibrio tra passato e presente; capii, in definitiva, che il tempo lenisce qualsiasi ferita, lasciando intatto nell’animo il desiderio di rivincita. Mi riaffacciai alla vita con piglio ed entusiasmo, realizzando alcuni progetti e portando avanti nuove soluzioni. Le mie giornate, improvvisamente si trasformarono e iniziarono ad avere un altro significato. Riaffiorò anche un vecchio amore che credevo ormai sopito, soffocato, insabbiato dal gelido vento del tempo: la fotografia. Una passione nata in me fin da ragazzino quando, all’età di dieci anni, chiesi a mio padre, per la prima volta, di prestarmi “la macchina per le fotografie” e lui, con totale fiducia e senza alcuna remora, me la consegnò dicendomi: “Adesso vai e fotografa!”. Così, mi buttai a capofitto in questa nuova avventura non più disegnando su carta, ma “scrivendo con la luce[1]”: volevo che il mio sogno di entrare nel fantastico mondo della fotografia naturalistica , si realizzasse. Per prima cosa, andai a comprarmi una fotocamera professionale e affidabile (relegando con dispiacere nell'armadio quella precedente, più modesta, ma ugualmente efficiente), ampliai le conoscenze su tecniche e strumentazioni, consultai riviste memorizzando attentamente gli scatti di grandi fotografi, approfondii lo studio sull’ambientazione, sulla composizione dell’immagine, sulla scelta degli obiettivi e sui tempi d’esposizione: tutte conoscenze fondamentali per la buona riuscita di una foto. Non bastava. Volevo fare di uno scatto, un’immagine unica, imprimere ad essa il mio marchio di fabbrica, lasciare agli occhi e al cuore di chi guardava, un filo d’emozione, un sogno nascosto, degli attimi di poesia. Cominciai a frequentare gli Euganei e a percorrere gli interessanti itinerari del territorio, partecipando ogni tanto a qualche escursione in montagna. La macchina fotografica era ormai diventata la mia inseparabile compagna di viaggio, l’amica del cuore cui confidare i segreti più nascosti, le trasmettevo i miei sentimenti, i miei desideri, le mie incertezze e lei, in una frazione di secondo, ne fugava ogni dubbio, regalandomi immagini che rispecchiavano esattamente quello che avevo in mente in quel preciso istante. Avevo scoperto così un altro modo di interpretare la natura: fotografandola, mi pareva di poter comunicare ad altri le mie sensazioni, le mie suggestioni, i miei pensieri. M’incuriosiva, ma nello stesso tempo mi eccitava: scattare una foto, poi un’altra e un’altra ancora, cogliere l'attimo fuggente, cercare di raccontare in un frammento, in un millesimo di secondo, un’emozione, un particolare stato d’animo, congelarlo e renderlo eterno, mi sembrò qualcosa di incredibilmente meraviglioso. Tutti i miei sensi, allo scatto di una foto, erano presenti alle mille sensazioni che il mio corpo emanava in quei momenti. Momenti unici che non sai se avrai la fortuna di rivivere un’altra volta. Essere lì, nel posto giusto al momento giusto non è facile, lo so, ci vuole fortuna. Del resto, sono proprio gli scatti imprevisti, quelli inaspettati, che alla fine ci resteranno impressi per sempre nella mente. Momenti incantevoli e pieni di fascino. Ammirare un paesaggio dopo un temporale di fine estate, con il sole che irrompe tra le nuvole scure e tumultuose, irradiando i campi e le vallate di colori accesi e saturi che ne risaltano i contorni, facendoli sembrare un “collage” di primi e secondi piani. Restare affascinati nell’osservare le forme geometriche dei campi che, come tasselli di un puzzle, s’incastrano in modo perfetto formando la pianura che ai nostri occhi, appare severa e rigorosa. Abbandonarsi a un suggestivo tramonto, dopo una giornata afosa e assolata, con il sole che a malapena trova spazio tra gli alberi prima di scendere dietro la collina. Lo sguardo, allora, s’innalza ai caldi colori di un cielo striato da nuvole dorate e lingue infuocate, mentre l’animo rimane pervaso da sensazioni uniche, di assoluta pace e serenità.

Pieris Rapae su fiore di lavanda
Seguire il cauto e silenzioso volo di una farfalla, dalle svariate forme e dalle vivaci tonalità, che si posa a succhiare il dolce nettare che un fiore le dona. Assaporare i caldi e variegati colori dell’autunno, mentre il paesaggio si riveste di un’austera eleganza. Nel corso degli anni, ho imparato ad apprezzare la natura sentendo anche i profumi che la avvolgono. Quando vado per sentieri o m’incammino in tranquille passeggiate, il mio “respirare” non fa altro che “fotografare” quel momento, quell’istante, raccogliendo odori e sensazioni che mi portano a riscoprire cose già vissute in un lontano passato, che credevo ormai cancellate dalla mia mente. Respiro il profumo forte del sottobosco, un misto di terra umida, funghi e ceppi decomposti, quello dell’erba bagnata dopo una pioggia, la fragranza inebriante di un fiore, di una pianta, di una siepe, i loro effluvi che giungono improvvisi, portati da una brezza leggera che si rincorre, come un eco di montagna. Annuso il profumo di paglia e stalla che emanano i campi di grano appena falciati che il sole, a picco, trasforma in aridi deserti, l’aroma di mosto che sale dai tini e si espande allegro nell’aria d’autunno, l’odore acre di legna bruciata che arde nei camini, con l’inverno ormai alle porte, simile a quello d’erba e di foglie bruciate che arriva, velato di grigio, dai gelidi campi. Odori tristi e malinconici di giornate fredde e cupe d’inverni interminabili, durante i quali il giorno lascia troppo presto spazio alle ombre scure della sera, quando la gente, terminato il lavoro, rientra nelle proprie case al calore di un focolare, per raccontarsi frammenti di vita vissuta. Fotografare la natura è tutto questo. Profumi, sensazioni ed emozioni cambiano, si rincorrono l’un l’altro, nell’incalzante succedersi delle stagioni, diventando parte di un ciclo perpetuo che pur ripetendosi da sempre, incredibilmente ci sorprende ogni volta. 

[1] ) Fotografia = luce(phos) e grafia (graphis):

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