La Valcalaona con il Monte Lozzo sullo sfondo |
Quella domenica di giugno, io e Anna, camminavamo da quasi un’ora lungo il suggestivo e panoramico sentiero del Monte Cinto. La giornata era limpida, il cielo stendeva il suo vivido azzurro sulla pianura e i prati circostanti. Il sole tiepido, di un’inoltrata primavera, riempiva l’aria di delicate essenze e la natura esplodeva di colori con le bellissime fioriture della ginestra, del sambuco nero, della malga selvatica e del geranio sanguigno. Salivamo, con passo sicuro, le scure e frastagliate rocce che s’innalzavano decise tra un fitto bosco di castagni e aceri. Giunti in cima, due enormi massi facevano da sentinella a un panorama da togliere il fiato. Estasiati e increduli, ci sedemmo sulla parte piana del masso ad ammirare quel mare sconfinato di prati, campi e vigneti, tutti ben tenuti, curati e perfettamente in linea con gli inconfondibili profili dei colli che giganteggiavano in mezzo a quelle geometrie di verde. Più lontano, sfumate di rosa, una serie di creste facevano da sfondo abbracciando tutta la pianura. Eravamo soli, in quel momento.
Fioritura di ginestra sul Monte Cinto |
Pianoro con ulivi |
Sperone riolitico del Buso dei Briganti e sullo sfondo parte della pianura di Valcalaona |
A quarant’anni, Romeo, dopo la scomparsa del padre, aveva iniziato un’attività in proprio con un negozio di ferramenta acquistato con i risparmi racimolati in tanti anni di vita da agricoltore, quella stessa che, a malincuore, aveva dovuto abbandonare e alla quale era profondamente legato. Uno dopo l’altro, i suoi fratelli se n’erano andati altrove dove i guadagni erano facili e le fatiche certamente minori. Romeo era stato l’ultimo ad arrendersi. Solo, con la madre inferma da accudire giornalmente, si era trovato ora ad affrontare un nuovo lavoro con altri ritmi e altre responsabilità, ma non per questo si era abbattuto, anzi. Lavorava duro, come aveva sempre fatto e, nel corso degli anni, si prese le sue belle soddisfazioni. L’unica cosa che invece non cambiò in Romeo, fu il suo innato spirito libero di cavallo selvaggio, una qualità (o un difetto?) che la gente che lo frequentava, imparò col tempo a conoscere e ad accettare perché in fondo era un brav’uomo, onesto e leale: questo bastava. Anche nel lavoro, Romeo, aveva le sue idee. Ad esempio, l’orario di apertura e chiusura non era mai lo stesso, apriva e chiudeva le serrande a suo piacimento, mandando in crisi i poveri clienti che desideravano fare acquisti nel suo negozio. Non volle mai assumere personale perché, a suo dire, serviva a poco: era solo denaro buttato al vento; così, il negozio, se lo gestiva personalmente. Voleva sganciarsi da qualsiasi legame o regola. Era fatto così. Perché allora questo insistente desiderio di solitudine? Forse per un perduto amore? O per una scommessa personale? Oppure per dimostrare agli altri che ce l’avrebbe fatta anche da solo? Romeo non seppe darmi una risposta, restò in silenzio e nel suo volto, calò improvvisamente un velo di malinconia. Il vento dei ricordi sembrava essersi impossessato della sua persona, del suo essere. La dura scorza di uomo forte e deciso lasciava spazio alla memoria della sua lontana gioventù. Posò sul tavolo l’ultimo pezzo di panino e fissandoci con sguardo affabile, iniziò a raccontare: “ Ero il terzo di otto fratelli, cinque maschi e tre femmine. Antonio e Francesco, i due più vecchi, stavano al fronte a combattere una guerra assurda. Fin da piccolo sono stato abituato dai miei genitori, al lavoro duro e faticoso dei campi e alla vita umile e solitaria del contadino. Sebbene fossimo in tanti, non ci è stato fatto mancare nulla, non ci sentivamo poveri, anche se di povertà a quei tempi ce n’era tanta. Avevamo campi coltivati a granturco, vigneti che ci davano del buon vino, alberi da frutta dove coglievamo dolci primizie che, sotto le mani esperte e pazienti di nostra madre, diventavano gustosissime marmellate e l’orto, dalla terra buona e fertile, dove si piantava tutto quello che la stagione offriva in quel periodo. Nel complesso, quindi, mi ritenevo un ragazzo fortunato. Vivevamo, insieme ai miei genitori, in una casa costruita negli anni della Seconda Guerra, molto semplice, tirata su a pietre e calce ed era composta di due piani. Sotto stava la cucina, quattro metri per quattro, che dava direttamente sul cortile e dove si passava gran parte della giornata. Su una parete, al centro, vi era un grande focolare che però, nelle giornate fredde d’inverno, riscaldava a fatica. A fianco, un’altra stanza serviva da deposito. Ci si metteva dentro di tutto: conigli, capre, mucche, rastrelli, forche, zapponi; c’era il posto per le sgàlmare[2], che mettevamo quando si andava a lavorare i campi e quello per le scarpe buone, che indossavamo nei giorni di festa: sembrava l’Arca di Noè! Una parte di questo deposito era adibito a “cantina”, dove mio padre teneva custodite delle piccole botti di legno che conservavano il vino fatto con l’uva delle nostre vigne. Nella parte opposta al focolare, vi era una scala che portava al piano di sopra, dove stavano le camere. Eravamo sprovvisti di servizi igienici e quando ci “scappava”, dovevamo andare fuori, dove mio padre aveva costruito una baracca che fungeva da latrina. Nei mesi caldi non ci badavi e andava bene, ma quando iniziava il freddo era una sofferenza!”. Fece una pausa, finì l’ultimo boccone del panino e bevve qualche sorso da una bottiglietta che conteneva un liquido color ambra. Disse che non era tè ma una bevanda energetica consigliata, a suo tempo, da un amico erborista che gliel’aveva indicata apposta per sostenerlo durante le sue lunghe camminate: da allora, la portava sempre con sé. Poi, iniziando a mangiare il secondo panino, riprese. “ Non vi erano altre case nelle vicinanze. A volte capitava di restare senza riso o senza grano da macinare o addirittura senza qualche attrezzo che serviva per lavori di manutenzione. Allora si partiva a piedi o in bicicletta e si andava a prendere quello che ci serviva percorrendo anche diversi chilometri prima di arrivare a destinazione. Quanto ho pedalato! Ricordo che avevo una bicicletta presa in eredità da mio nonno che mi lasciò quando si accorse che non poteva più usarla per problemi alle gambe. Per me, era come possedere una macchina. La tenevo come una reliquia. Pulivo e oliavo gli ingranaggi quasi ogni giorno e se qualcosa non funzionava, ero pronto a ripararla. La usavo, il più delle volte, per delle consegne o per fare un giro intorno al paese, poi la ripulivo e la parcheggiavo agganciandola per le ruote a due grossi ganci da macellaio che calavano dal soffitto della stanza-deposito. E per farvi capire di quanto fosse importante, all’epoca, possedere una bicicletta, vi racconto anche questa. A quei tempi, durante la guerra, di fame e povertà ce n’era tanta, troppa. I miei genitori, come ho già detto, ci hanno tirato su tutti e otto con enormi sacrifici, in silenzio e con dignità. Spesso capitava che ci servisse del frumento da macinare, per cui dovevamo andarlo a prendere da dei parenti che abitavano a Vicenza. Allora lasciavamo le sgàlmare in un posto che sapevamo solo noi, ci infilavamo ai piedi le scarpe buone e partivamo in bicicletta a prendere il frumento. Ritornati a casa, ci caricavamo i sacchi in spalla e andavamo a macinarlo nel mulino che stava distante un chilometro. Finito di macinare, ci caricavamo di nuovo i sacchi in spalla e poi via, spingendo a più non posso sui pedali della bicicletta per arrivare a casa prima che facesse buio. Quante volte mi è capitato di andarci con Cesare!...” D’improvviso, dai suoi occhi spuntò una lacrima che segnò, lentamente, il profilo dello zigomo e con la voce rotta dall’emozione, riprese: “ Cesare era il più piccolo dei miei fratelli, ci separavano solo un paio d’anni. Con lui ho condiviso i momenti più belli e spensierati della mia vita, gli volevo un gran bene e andavamo d’accordo. Parlavamo di tutto, mi sentivo libero di esprimermi e di confessargli ogni problema, ogni piccola cosa che mi angosciava o mi faceva stare male: lui aveva sempre una parola di conforto che mi risollevava il morale.
Pieris Rapae su fiori di lavanda |
Campanula Persicifolia |
[3]) Ridere di gusto
Rosa Canina Vai al sentiero: http://www.parcocollieuganei.com/doc/sentieri/CINTO.pdf |
Nessun commento:
Posta un commento